Lucio Pengue

31/08/2007 Eravamo quattro amici al bar, con la voglia di cambiare il mondo...
 
Questa squadra mi piace! Ancora non l’ho vista giocare, ma già mi piace. Perché? È una sensazione, ma una sensazione basata su alcune certezze.

Mi piacciono le facce, mi piacciono le storie di alcuni giocatori che quest’anno vestiranno la maglia della Eldo. Rocca, Monroe, Thomas e Raicevic hanno il fuoco dentro. E non solo perché sanno giocare a basket.

Mason Rocca. Ormai lo conosciamo bene. Che dire, è voluto rimanere qui a Napoli dopo aver rifiutato le sirene di alcuni top team e dopo che il presidente Maione gli ha costruito ponti d’oro pur di farlo restare all’ombra del Vesuvio. Una scelta saggia quella di restare a mio avviso. Questa squadra ha bisogno di bandiere di esempi positivi e così l’ingegnere di Princeton, idolo delle folle e del sottoscritto, è un giocatore in cui mi piace immedesimarmi. Silenzioso, rispettoso, lavoratore, in tutto quello che fa ci mette cuore. Ci mette sempre il massimo. Ecco, lui, che non è alto, che non ha tiro, che non salta, che non ha percentuali affidabili dalla lunetta è sempre il migliore in campo. Basta questo per capire perché io sono un fan di Mason Rocca.

Chris Monroe invece è uno che c’ha le palle. Uno che si è dovuto sempre sudare tutto quello che ha ottenuto e nessuno gli ha mai regalato niente. Sin dall’infanzia. Monroe ama questo gioco, come l’amava suo cugino costretto su una sedie a rotelle dopo un incidente d’auto. Giocavano insieme nei playground del Maryland, insieme a Ronnie, che però lo batteva spesso e volentieri. Era più forte Ronnie, ma ora non può più dimostrarlo. Quell’incidente l’ha cambiato. Dopo il brutto colpo subito Chris si è ripreso ed ha deciso di diventare professionista per Ronnie. Non è stato scelto al draft, non è stato invitato in nessuna Summer League, ma lui ce la voleva fare. Chris ha il fuoco sacro dentro. È andato in Ungheria e ci ha vinto un titolo diventando anche l’Mvp. È andato a Pavia e ha portato la squadra di Sacco fino alla finale persa contro la corazzata Scavolini. Quello che il basket gli dà Monroe lo dona al cugino che ha bisogno di continua assistenza e di cure mediche che costano tanto. A Napoli Chris ci vuole rimanere e vuole vincere tanto, per se stesso, ma soprattutto per Ronnie.

Miroslav Raicevic era uno dei giocatori più forti del Vecchio Continente. Era amato, coccolato, tutti lo osannavano. Ha giocato per tanto tempo in Grecia, è diventato comunitario e quindi ancora più appetibile. Dopo il ritorno in patria con la Stella Rossa Raicevic era diventato ancora più forte. Un top player che tutti volevano. I Bucks, la Benetton ed infine la Dinamo Mosca. I petroldollari russi erano allettanti, più delle sirene dell’Nba. Tanti e subito, ma meritati per il pivot titolare della Serbia delle meraviglie. La Dinamo disputava l’Eurolega, ed era stata anche la squadra di un certo Lynn Greer. Poi l’infortunio, un brutto infortunio che lo ha tenuto lontano dai campi da basket per tanto tempo, per troppo tempo. Miroslav ha accettato il suo destino ed ha deciso di ricominciare, ricominciare daccapo. Ricominciare da Napoli. Si è autoridotto lo stipendio in maniera considerevole. Miroslav vuole dimostrare di no essere finito, vuole dimostrare che non gioca per i soldi. Vuole tornare ad essere il più forte, con la maglia di Napoli naturalmente.

Jamel Thomas. Questo ragazzo nato e cresciuto a Brooklyn, ne ha passate di traversie nella sua vita. Coney Island, South Brooklyn, non è il migliore dei posti dove crescere. La famiglia per lui è stata una chimera. Papà inesistente, la mamma viene uccisa quando lui aveva solo tre anni, ma nel quartiere di Surfside Gardens, a West 31st Street, c’è per fortuna anche gente di cuore. Mamma Erica e papà Otis Telfair lo accolgono, insieme al fratellino di un anno Deon, e lo accudiscono come un figlio, insegnandogli le regole per tenerlo alla larga da spacciatori e gang varie.
La famiglia Telfair è imparentata anche con la famiglia Murbury e così tra cugini, fratelli, fratellastri e cuginastri passa la giovinezza sui playground più malfamati della Big Apple. Si dà da fare, vuole diventare professionista ma non riesce dove invece ce l’hanno fatta Sebatian Telfair (Boston Celtics) e tal Stephon Murbury (NY Knics). Ha talento, tiro, atletismo, difesa, ma non bastano per diventare da Nba. La frustrazione è tanta, ma Jamel sa riciclarsi e diventare uno dei giocatori più spettacolari ed efficaci venuti a giocare nella Vecchia Europa grazie alle visioni e premonizioni di Atripaldi che lo porta in Italia a Biella quando ancora portava la pettinatura afro. Jamel adesso è un fuoriclasse ed ormai si è rassegnato a 31 anni che il dorato mondo dell’Nba non lo vuole. Ma per lui la vera Nba è d’estate quando sui campetti della calda New York gioca nei vari playround sfide interminabili con i cugini, cuginastri, fratelli e fratellastri. Ed al cospetto di Sebastian e di Steph “Starury” non sfigura affatto… Anzi.

 

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