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LACRIME NAPULITANE (Anno I, Numero 4)
Io no, nun torno…mme ne resto fore
e resto a faticá pe’ tuttuquante.
I’, ch’aggio perzo patria, casa e onore,
i’ só’ carne ‘e maciello: Só’ emigrante!
Non vi posso lasciare soli un attimo, soleva ripetere il mio papà a me e mio fratello, parliamo di piena era paleozoica. Mi viene da ripeterlo a voi, amici del basket napoletano. E’ successo di tutto e in poco tempo. Chi ci capisce è bravo. Dura anche per osservatori, appassionati, giornalisti riuscire a trovare la chiave di lettura per capire, raccontare, commentare quello che avviene nell’incasinatissimo regno di Don Tano Papalia, dove la Corte dei miracoli annuisce e applaude le decisioni del monarca. Palabarbuto come un centro commerciale, gente che va, gente che viene, chi chiede sconti, chi propina discutibili offerte. Un casino, volendo sintetizzare con stile.
Dopo i saluti di qualche giocatore e qualche elemento dello staff è caduta la prima testa eccellente. Il primo esonero della stagione di LegaA lo firma Don Tano, e almeno un record è al sicuro. E’ durata 2 gare e una settantina di punti di margine l’avventura napoletana del professor Marcelletti. Gli agiografi di Terra di lavoro ci raccontano del secondo esonero di fila a margine di un’attesa, per il ritorno in Massima serie, durata un decennio. Lo avevo visto in tv, nel salotto del fratellino tele-radiofonico e della Ferilli dé noi altri. Mi sembrava in forma, entusiasta, determinato, lucido. Con le idee chiare. Affermare che il professore abbia colpe specifiche per le sconfitte con Siena e Avellino sarebbe disonesto. E allora io che sono sospettoso di natura mi chiedo: dov’è la magagna? Anche uno a digiuno di basket capirebbe che la squadra è in fase precampionato, che molti elementi non sono all’altezza e solo tra un mesetto si potrà ammirare il vero volto di un team rigirato come un calzino in poche settimane. Esonerare gli allenatori: pessima abitudine calciofila, che poco si confà ad uno sport complesso come quello che amiamo, sport che impone tempi tecnici lunghi per formare la famosa chimica.
Bocciato il professore Don Tano proseguirà nella sua complicata opera di ri-ricostruzione. Kruger, pomposamente definito play alla D’Antoni (l’ho visto all’opera, non me ne vogliate: gioca alla D’Antoni, sì ma quello di oggi) pare abbia sul letto la famosa valigia cara ad Iglesias. Tutto nero, allora? No. I nuovi arrivi sono di grido. Damon Jones è un nome altisonante per chi mastica Nba ed è atleta in grado di cambiare, offensivamente, il volto di una squadra, ammesso che non sia arrivato per godersi una meritata vacanza dopo le fatiche di un paio di lustri a manetta nella Nba. Gabini è gaucho affidabile, cattivo, uno con la cazzimma che serve. Pare che nel mirino club ci siano Boykins, visto in versione sbiadita lo scorso anno a Bologna e il buon vecchio Tyron “Power” Grant, affidabile lupo d’area, crepuscolare già da un po’, ma con un passaporto italiano che fa tutta la differenza del mondo.
Resta il problema del coach. Diciamo sinceramente che non ci si azzuffa in giro per riempire il vuoto lasciato da Marcelletti. I no di Melillo e Caja sono merce da quotidiani accreditati. Sarà una mia impressione ma, qualità dei giocatori a parte, nessuno si scapicolla per strappare un contratto al presidente-internauta.
Consigli per gli acquisti: virare decisi su Maurizio Bartocci (ammesso che accetti, ovvio), buon allenatore, profondo conoscitore della piazza, naturale trait d’union della Napoli che fu. A proposito, ho notato la sterile protesta del PalaBarbuto. Mio parere: se non vi piace il film non andate al cinema, tutto qui.
Domenica faccio un salto a Bologna, con i miei ritmi copro la distanza in meno di 2 ore. Percorso basket-gastronomico. Consiglio ai naviganti: prima di andare a casa Sabatini passate all’Osteria di Clò: crescentine, cipolline al Barbera, grana e mortadella d’autore. Dovesse finire male con la palla arancio resterebbe sempre un buon motivo per ricordare la trasferta
Non vi posso lasciare soli un attimo, soleva ripetere il mio papà a me e mio fratello, parliamo di piena era paleozoica. Mi viene da ripeterlo a voi, amici del basket napoletano. E’ successo di tutto e in poco tempo. Chi ci capisce è bravo. Dura anche per osservatori, appassionati, giornalisti riuscire a trovare la chiave di lettura per capire, raccontare, commentare quello che avviene nell’incasinatissimo regno di Don Tano Papalia, dove la Corte dei miracoli annuisce e applaude le decisioni del monarca. Palabarbuto come un centro commerciale, gente che va, gente che viene, chi chiede sconti, chi propina discutibili offerte. Un casino, volendo sintetizzare con stile.
Dopo i saluti di qualche giocatore e qualche elemento dello staff è caduta la prima testa eccellente. Il primo esonero della stagione di LegaA lo firma Don Tano, e almeno un record è al sicuro. E’ durata 2 gare e una settantina di punti di margine l’avventura napoletana del professor Marcelletti. Gli agiografi di Terra di lavoro ci raccontano del secondo esonero di fila a margine di un’attesa, per il ritorno in Massima serie, durata un decennio. Lo avevo visto in tv, nel salotto del fratellino tele-radiofonico e della Ferilli dé noi altri. Mi sembrava in forma, entusiasta, determinato, lucido. Con le idee chiare. Affermare che il professore abbia colpe specifiche per le sconfitte con Siena e Avellino sarebbe disonesto. E allora io che sono sospettoso di natura mi chiedo: dov’è la magagna? Anche uno a digiuno di basket capirebbe che la squadra è in fase precampionato, che molti elementi non sono all’altezza e solo tra un mesetto si potrà ammirare il vero volto di un team rigirato come un calzino in poche settimane. Esonerare gli allenatori: pessima abitudine calciofila, che poco si confà ad uno sport complesso come quello che amiamo, sport che impone tempi tecnici lunghi per formare la famosa chimica.
Bocciato il professore Don Tano proseguirà nella sua complicata opera di ri-ricostruzione. Kruger, pomposamente definito play alla D’Antoni (l’ho visto all’opera, non me ne vogliate: gioca alla D’Antoni, sì ma quello di oggi) pare abbia sul letto la famosa valigia cara ad Iglesias. Tutto nero, allora? No. I nuovi arrivi sono di grido. Damon Jones è un nome altisonante per chi mastica Nba ed è atleta in grado di cambiare, offensivamente, il volto di una squadra, ammesso che non sia arrivato per godersi una meritata vacanza dopo le fatiche di un paio di lustri a manetta nella Nba. Gabini è gaucho affidabile, cattivo, uno con la cazzimma che serve. Pare che nel mirino club ci siano Boykins, visto in versione sbiadita lo scorso anno a Bologna e il buon vecchio Tyron “Power” Grant, affidabile lupo d’area, crepuscolare già da un po’, ma con un passaporto italiano che fa tutta la differenza del mondo.
Resta il problema del coach. Diciamo sinceramente che non ci si azzuffa in giro per riempire il vuoto lasciato da Marcelletti. I no di Melillo e Caja sono merce da quotidiani accreditati. Sarà una mia impressione ma, qualità dei giocatori a parte, nessuno si scapicolla per strappare un contratto al presidente-internauta.
Consigli per gli acquisti: virare decisi su Maurizio Bartocci (ammesso che accetti, ovvio), buon allenatore, profondo conoscitore della piazza, naturale trait d’union della Napoli che fu. A proposito, ho notato la sterile protesta del PalaBarbuto. Mio parere: se non vi piace il film non andate al cinema, tutto qui.
Domenica faccio un salto a Bologna, con i miei ritmi copro la distanza in meno di 2 ore. Percorso basket-gastronomico. Consiglio ai naviganti: prima di andare a casa Sabatini passate all’Osteria di Clò: crescentine, cipolline al Barbera, grana e mortadella d’autore. Dovesse finire male con la palla arancio resterebbe sempre un buon motivo per ricordare la trasferta.
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LACRIME NAPULITANE (Anno I, Numero 3)
Io no, nun torno…mme ne resto fore
e resto a faticá pe’ tuttuquante.
I’, ch’aggio perzo patria, casa e onore,
i’ só’ carne ‘e maciello: Só’ emigrante!
Dai raffinati velluti di un noto bar della Riviera dove, nonostante la qualità dell’interlocutore e degli argomenti, l’attenzione tende a seguire lo sguardo orientato verso altri tavoli.
Si discorre di basket e psicologia, mentre la filodiffusione ci regala l’immortale Bebop di Dizzy e Charlie, che Dio li abbia in gloria. Il professore, appassionato di pallacanestro e del cervello umano, mi offre nozioni notevoli a prezzo modico (un aperitivo) e appaga la mia sete di conoscenza sull’intrigante binomio.
Sparo la domanda: ma esiste anche nello sport l’ansia da prestazione? Riconosco che il quesito, di questi tempi, si adatta più ai salotti politici televisivi che alla disciplina che amiamo, ma la butto lì comunque per poi arrivare ad un quesito successivo. Il prof sorseggia il crodino, poi ammicca. Certo che esiste, assicura l’accademico. E allora penso alla Napoli dei canestri alla quantità di ansia che si porta nello stomaco. Ogni gara deve essere un esame se parti da –4 in classifica e tutti gli addetti ai lavori, i giornali più o meno accreditati, i semplici appassionati pensano che non ti salverai nemmeno se San Gennaro giocherà da ala piccola.
Il tutto a fronte di un roster da completare (con un budget modello ostia consacrata), le prime fughe, un audioleso che ti sputtana sul web e una città che non sembra convinta dell’operazione trasloco.
Il prof mi dice che partire con una penalizzazione rappresenta un macigno per la psiche degli atleti. E’ come se nella loro mente si materializzasse un complesso di inferiorità dovuto alla situazione di classifica. In particolare, mi spiega, chi soffre di ansia da esame manifesta pensieri negativi che provocano l’autoconvinzione di non essere in grado di superare la prova.
E l’autostima del gruppo, immagino io, deve aver subito un ulteriore colpo mortale con il –39 di Siena in diretta nazionale.
Da situazioni del genere, conclude il professore, molti atleti trovano stimoli, soprattutto i campioni. Merce rara sotto l’egida Martos, rifletto.
In definitiva un’annata con partenza ad handicap: –2 giocatori (Allred e Reynolds, fuggiti a gambe levate), -4 in classica, -1 team manager (Bye Bye Dalla Libera), -3 giocatori per avere un roster almeno dignitoso, molti – abbonamenti rispetto alle annate maionesche. Strada in salita? Diciamo che la scalata al Mortirolo appare una tappa di trasferimento al confronto.
L’insieme delle cose non dovrebbe, comunque, spaventare FB Papalia, abituato a fare i conti con gli handicap, visto il suo pedigree nel mondo dell’ippica.
Escursione nel forum del nostro amato sito. Non ci si accende più per questo o quel giocatore, per le rivalry che spesso hanno elettrizzato queste pagine nel recente passato. La questione di fondo è: sostenere i colori, il nome della città e una squadra al momento molto debole ringraziando Papalia per aver comunque riportato la serie A in città o maledire mister Facebook per aver trasferito ai piedi del Vesuvio una zattera destinato alla deriva e al pubblico lubridio? Quindi, abbonarsi a scatola chiusa o passare la domenica tra salotto e multisale?
Certo non posso condannare chi, con un coraggioso atto d’amore, vorrà mettersi in tasca la tessera annuale per il Palabarbuto. Sostenere gli handicappati, sportivamente s’intende, è un gesto nobile. Sono innamorati folli? Ex curvaioli che non vedevano l’ora di tornare nel loro piccolo regno? Incurabili ammalati della palla a spicchi? Napoletani con il sangue di pummarola e il Vesuvio nel mazzo che sosterrebbero anche la squadra di sottomuro basta che porti il nome Napoli sulla maglia? Chiamateli semplicemente abbonati.
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LACRIME NAPULITANE (Anno I, numero 2)
Io no, nun torno…mme ne resto fore
e resto a faticá pe’ tuttuquante.
I’, ch’aggio perzo patria, casa e onore,
i’ só’ carne ‘e maciello: Só’ emigrante!
I HAVE A DREAM
Dai tavolini dello chalet Stella dove, tra un ultimo soffio di scirocco all’aroma di gamberoni arrosto, un tempestivo prosecchino e qualche raro esemplare di fauna locale scampato all’epidemia settembrina, i Righeira avrebbero trovato il loro habitat.
Giorni fa ho visto in tv uno speciale su Martin Luther King. Un idolo, un eroe moderno. Quando lo vedo alla tele viene voglia di alzare il pugno chiuso al cielo come Tommie Smith e Lee Evans a Mexico ’68. Lo slogan che ha reso celebre MLK o che MLK ha reso celebre è: “I have a dream”, io ho un sogno. Il suo consisteva nel raggiungere un nobile obiettivo, i miei sono di ben altro spessore, ma ho deciso di proporveli lo stesso. Della serie: nessuno me lo ha chiesto ma io ve lo dico lo stesso. Pensieri sparsi, dreams in rigoroso ordine random.
I have a dream. Vorrei che la Napoli del basket smentisse impressioni e pronostici, valutazioni e stellette di merito, corvi e nemici e, in nome della forza dl gruppo, regalasse una stagione da ricordare e non da dimenticare.
I have a dream. Vorrei che qualche imprenditore serio e appassionato scavalcasse la congiuntura economica e, in virtù della passione per la palla arancio e non per far contento il politicante di turno, affiancasse e rafforzasse con dindini sonanti il progetto NSB. Sponsorizzazione, non elemosina a gentile richiesta.
I have a dream. Vorrei che Don Tano Papalia condividesse con Mark Cuban (megamiliardario, in dollari, proprietario dei Dallas Mavs) non solo la passione per la comunicazione a mezzo web ma anche la portata del conto corrente.
I have a dream. Vorrei commentare una gara di Napoli con il mio amico Massimo Antonelli con Casella e Pengue che ruminano inglese a bordocampo.
I have a dream. Vorrei condurre insieme a Calise un programma radiofonico su basket e musica. Rigorosamente privo di scaletta.
I have a dream. Vorrei Barak Obama premier. E’ un grande appassionato di basket, a parte tutto il resto.
I have a dream. Vorrei che I miei amici e colleghi non saltassero le trasferte di Pesaro, Teramo e Montegranaro.
I have a dream. Vorrei che I famosi Dei del basket trasformassero Reynolds in LBJ e Kruger in Stockton.
I have a dream. Vorrei che alla prima al PalaBarbuto I giocatori trovassero 4000 tifosi ad accoglierli festanti.
I have a dream. Vorrei che coach Marcelletti portasse alla causa le intuizioni e l’entusiasmo dei tempi di Caserta e Verona.
I have a dream. Vorrei che Maurizio Bartocci allenasse una squadra di LegaA di prima fascia.
I have a dream. Vorrei che il campionato italiano lo vincesse qualsiasi squadra tranne Siena.
I have a dream. Vorrei vedere un giorno un ragazzo napoletano giocare nella NBA.
I have a dream. Vorrei leggere alla mia bambina una delle favole che ilpresidentepapalia si diverte a scrivere.
I have a dream. Vorrei che I tifosi napoletani ricevessero almeno il 50% delle soddisfazioni che meritano.
I have a dream. Vorrei che Sky non inserisse nel programma del Basket Day la gara tra Siena e Napoli: di figuracce in tv la nostra città è satura.
I have a dream. Vorrei che ilpresidentepapalia mi chiedesse l’amicizia su Facebook e che attraverso una mail mi spiegasse esattamente che progetti ha.
I have a dream. Vorrei vedere un giorno una gara 7 di finale scudetto al Mario Argento senza politicanti in parterre.
I have a dream. Vorrei che il Polifunzionale di Soccavo fosse intitolato alla memoria di Mario Della Moglie.
I have a dream. Vorrei rivedere i bagarini al Palabarbuto.
I have a dream. Vorrei che la Napoli del basket ricevesse dalla città il 10% delle attenzioni riservate alla squadra di calcio.
I have a dream. Vorrei festeggiare, in tempi ragionevolmente brevi, l’Eurolega di Napoli e la Champions dell’Inter. Questa è dura, specie la prima.
I have a dream. Vorrei sentire Pianigiani mourigneggiare in una conferenza stampa e dissertare degli zeru tituli delle altre.
I have a dream. Vorrei che tutti gli arbitri italiani avessero la competenza di Facchini e la sobrietà di Sahin.
I have a dream. Vorrei che il basket italiano copiasse il modello spagnolo.
I have a dream. Vorrei scriverne altri ma il prosecco è entrato in circolo. Meglio fermarsi. Avrò chiesto troppo?